Introduzione

Quest’articolo vuole essere la continuazione ideale di quello precedente, in cui il fallimento era visto nell’ambito del contesto scolastico, dove veniva descritto come abbandono del percorso di studi o ‘drop out’, chiaro segnale di un malessere sempre maggiore che adolescenti e giovani stanno vivendo.
L’abbandono scolastico sembra però essere solo la punta dell’iceberg del disagio dei ragazzi in età evolutiva: si sta delineando il quadro di una sintomatologia clinica specifica che porta a crescenti difficoltà di relazione con un mondo adulto sempre più lontano e ‘ostile’.

I compiti evolutivi in adolescenza

Erikson, nel 1968, introduce l’idea che lo sviluppo individuale avvenga attraverso la risoluzione di ‘crisi evolutive’. Ogni periodo della vita è suddiviso in stadi, ciascuno caratterizzato da un conflitto da risolvere. Nell’adolescenza, il conflitto riguarda la costruzione e la dispersione dell’identità. L’autore sottolinea l’importanza di sperimentare diverse identità prima di stabilirsi su una definitiva.
Havinghurst, allievo di Erikson, introduce i “compiti di sviluppo“. In adolescenza, il compito centrale è individuare e costruire l’identità, ottenendo autonomia, identità di genere, intimità nelle relazioni, accettazione del corpo, preparazione professionale, sviluppo di comportamenti socialmente accettabili, valori, e coordinazione autonoma degli ambiti della vita.
L’adolescenza consiste in un continuo cambiamento scandito dalla necessità di affrontare compiti evolutivi specifici per transitare verso l’età adulta. Si tratta di una vera e propria metamorfosi (Maggiolini, Pietropolli-Charmet, 2004).
Maggiolini e Charmet nel 2004 identificano quattro compiti evolutivi correlati tra loro per la
costruzione dell’identità adolescenziale:

  1. Mentalizzazione del corpo sessuato: inerente il cambiamento del corpo e la comprensione dei segnali emotivi ad esso legati.
  2. Separazione e individuazione dalla nicchia primaria: il raggiungimento dell’indipendenza emotiva dai genitori e investimento in nuovi ruoli sociali.
  3. Nascita sociale: passaggio dalla socializzazione familiare a quella con il gruppo dei pari.
  4. Costruzione di nuovi valori e ideali: Formazione di valori personali, talvolta in contrasto con quelli familiari.

Il mancato completamento di uno di questi compiti può generare sintomi complessi, e la teoria suggerisce che il raggiungimento di tali compiti è cruciale per una sana identità nell’adolescenza.

A partire dagli Hikkikimori

Una trentina di anni fa, un numero sempre maggiore di ragazzi ha iniziato a manifestare una serie di sintomi ansiosi sempre più gravi, che hanno completamente modificato il loro modo di vivere. Negli anni ’90 viene coniato in Giappone il termine ‘hikkikomori’ (Saito) per definire la condizione psicologica di adolescenti e giovani che hanno iniziato a rifiutare le alternative offerte dall’ambiente esterno, fino ad arrivare a ritirarsi in casa senza più uscire. Tale condizione si caratterizza infatti proprio per un rifiuto verso la vita sociale e scolastica o lavorativa per un periodo di tempo prolungato di almeno 6 mesi e una mancanza di relazioni intime ad eccezione di quelle con i famigliari più stretti. La sindrome è stata collegata a diversi fattori. Da un punto di vista psicologico, si è analizzato il ruolo delle relazioni familiari disfunzionali e la presenza di disturbi psicopatologici come la depressione. Dal lato sociologico, si sono esaminati i fattori legati al sistema culturale giapponese basato sul confucianesimo, e la presenza di rigide regole morali e sociali. Il carico scolastico e la mancanza di opportunità lavorative sarebbero altri fattori ambientali predisponenti. L’ipotesi emersa suggerisce che questi giovani, influenzati dai valori sociali caratterizzati dall’estremo perfezionismo e dalla pressione per eccellere a scuola e nel lavoro, si sentano inadeguati rispetto agli standard richiesti. Di conseguenza, scelgono di ritirarsi in casa per evitare la realtà quotidiana che percepiscono come oppressiva. Il fenomeno hikikomori si caratterizza per comportamenti persistentemente solitari, con una prevalenza dell’1-2% nei paesi dell’Asia orientale. I fattori di rischio principali includono genere (predominanza maschile) e età, con un inizio mediamente tra i 17 e i 22 anni. La difficoltà a scuola, specialmente legata al bullismo, è un precursore comune, con il rifiuto scolastico che può precedere l’hikikomori nel 70% dei casi.

Verso nuove forme del ritiro sociale

Il disinvestimento dei giovani verso la vita sociale e lavorativa, anche se non esattamente analogo all’hikikomori, è stato riscontrato anche in alcuni paesi occidentali. Comprendere l’importanza di questo fenomeno è cruciale per gestire e trattare queste persone, evitando difficoltà di reinserimento in età adulta, specialmente quando i genitori diventano
anziani e non possono più prendersi cura completamente di loro. Tuttavia, è necessario procedere con cautela nel confrontare segnali simili in giovani provenienti da diverse società e culture con il fenomeno descritto in Giappone. Inoltre, si evidenzia la mancanza di criteri clinici specifici per il disturbo, e molti studi hanno utilizzato campioni non
rappresentativi e metodologie di ricerca non rigorose. Quanto ai fattori predisponenti, alcuni ricercatori hanno identificato fattori clinici, psicologici, familiari e sociali che contribuiscono al comportamento di ritiro sociale. Fattori psicologici, legati alla dipendenza psicologica, e dinamiche familiari, influenzando la struttura familiare, sono risultati determinanti. Nel contesto educativo e sociale, i valori e le aspettative dei giovani sono stati associati positivamente al comportamento di ritiro sociale. Gli studi suggeriscono che esistono tre tipi di giovani socialmente ritirati: 1) gli ultra-dipendenti, cresciuti in famiglie ultra-protettive; 2) gli interdipendenti disfunzionali, influenzati da dinamiche
familiari disadattive; 3) e i contro-dipendenti, sottoposti a eccessive aspettative genitoriali e pressioni
accademiche e lavorative.
Si è iniziato a parlare, a partire dal Regno Unito, di NEET (sigla di ‘not in employment, education or training’) per indicare i giovani non impegnati in attività lavorative o educative. Negli Stati Uniti si utilizza il termine adultolescent per indicare quei giovani adulti che ancora vivono con i loro genitori e che non sembrano avviarsi verso una vita propria, indipendente dalla famiglia.

Trattamento riabilitativo

Gli specialisti suggeriscono strategie terapeutico-riabilitative mirate, preferendo un approccio psicoterapico non individuale. Una combinazione di terapia di esposizione progressiva e terapia di gruppo, coinvolgendo la famiglia come un ambiente sicuro per riprendere le interazioni sociali, ha dimostrato maggiore efficacia. L’impiego congiunto di psicoterapia individuale e interventi familiari, inclusi programmi educativi domiciliari, ha portato a una riattivazione dell’apertura sociale in alcuni casi. Altre forme di intervento includono trattamenti psicofarmacologici, interventi dei Servizi Sociali, segnalazioni al Tribunale dei Minori e, in casi estremi, allontanamento dalla famiglia con collocazione in comunità.

Conclusione

Il fallimento evolutivo inizia a manifestarsi come mancata realizzazione della fase evolutiva di scoperta di sé e dell’ambiente, come inceppamento nella nascita sociale dell’adolescente in un mondo più ampio di quello familiare. Appare urgente attivare interventi riabilitativi sempre più mirati e funzionali e promuovere ricerche che permettano una sempre più accurata comprensione del fenomeno, delle sue cause e caratteristiche.

 

Bibliografia

  • Erikson, E. (1968). Gioventù e Crisi D’Identità, Armando, Roma, 1980;
  • Havinghurst, R. J. (1948/1972). Developmental Tasks And Education, Basic Books, New York;
  • Maggiolini, A., Pietropolli Charmet, G. (2004). Manuale di Psicologia Dell’Adolescenza: Compiti e Conflitti, FrancoAngeli, Milano.