Introduzione

Il ruolo delle emozioni nei contesti professionali è stato un argomento di ricerca a lungo trascurato. Tale noncuranza potrebbe essere attribuita alla tradizione dei modelli razionalistici delle organizzazioni che hanno sottostimato o considerato come un elemento di disturbo il ruolo delle emozioni nell’attività di lavoro. Dalla rassegna condotta da Brief e Weiss (2002) emerge che lo studio delle emozioni nei luoghi di lavoro nasce come tema di ricerca scientifica negli anni trenta, principalmente negli Stati Uniti, grazie allo sviluppo degli strumenti metodologici necessari allo svolgimento delle ricerche. Tuttavia, la diversità metodologica caratterizzante quegli anni sbiadì, per lasciare posto ad un approccio che ha analizzato il contesto lavorativo quasi esclusivamente in termini di soddisfazione professionale. Solo nella seconda metà degli anni ottanta e novanta, i ricercatori riscoprono l’interesse per le emozioni.

Come mai è così importante parlare di emozioni nel contesto organizzativo e lavorativo? Quali sono gli effetti e i benefici che le emozioni possono apportare sul luogo di lavoro?

Emozioni e luoghi di lavoro: qualche contributo teorico

Dal punto di vista della psicologia organizzativa e del comportamento organizzativo, solamente in tempi più recenti si sono moltiplicati i contributi che analizzano la rilevanza delle emozioni nei contesti organizzativi.

Basch & Fisher (2000) hanno indagato l’esistenza delle emozioni e dei copioni ad esse associati in contesti organizzativi. Hanno riferito che i dipendenti mostrano una gamma completa di emozioni sul lavoro, oltre a varianti che sembrano essere più specifiche per il posto di lavoro. Per quanto riguarda le emozioni positive, Basch & Fisher hanno scoperto che quelle più comunemente riportate sono il piacere, la felicità, l’orgoglio, l’entusiasmo, il sollievo, l’ottimismo, l’affetto e il potere; invece, per quanto riguarda le emozioni negative quelle maggiormente restituite sono frustrazione, preoccupazione, delusione, fastidio, rabbia, infelicità, imbarazzo, tristezza, disgusto, dolore, paura e amarezza.

La teoria degli eventi affettivi (AET) di Weiss e Cropanzano (1996) ha fornito un ulteriore quadro utile per studiare le emozioni sul posto di lavoro come fenomeno dinamico. All’interno dell’AET, sostengono questi autori, il comportamento e le prestazioni dei dipendenti sul lavoro sono in larga misura una funzione di come si sentono in reazione al loro ambiente in un dato momento. Secondo questa visione, gli stati d’animo e le emozioni sono stati affettivi unici che fungono da risposte a eventi, situazioni, oggetti o eventi affettivi che possono essere percepiti come una minaccia o un’opportunità in relazione al raggiungimento di obiettivi personali. Gli autori hanno scoperto che le emozioni sul posto di lavoro tendono ad essere legate a specifici eventi attivanti. In particolare, i membri dell’organizzazione sembrano reagire agli eventi affettivi utilizzando una serie di copioni comportamentali appresi (vedi anche Fischer et al. 1990), che Izard (1993) nota essere costituiti da insiemi specifici di reazioni comportamentali, cognitive ed emotive agli stimoli ambientali.

I 5 livelli di Ashton-James & Ashkanasy

Nel 2006, Ashton-James & Ashkanasy hanno individuato 5 livelli all’interno dei quali si manifestano le conseguenze delle emozioni nelle organizzazioni:

  1. Dinamica interpersonale: si riferisce ai correlati neuropsicologici, psicofisiologici e ai processi cognitivi delle esperienze emotive legate all’ambiente di lavoro;
  2. Differenze individuali: si riferisce all’influenza che le differenze individuali (es. tratti di personalità) esercitano sulla frequenza, l’intensità e la durata delle esperienze emotive;
  3. Relazioni interpersonali: si riferisce all’influenza che le emozioni possono avere nelle dinamiche delle relazioni interpersonali tra capi e dipendenti, tra colleghi, tra operatori e clienti o utenti;
  4. Dinamica di gruppo: l’analisi delle emozioni diventa più complessa se la dinamica interpersonale si arricchisce degli elementi della coesione, dei calori condivisi e dell’esercizio della leadership. Il setting di gruppo può essere considerato un “incubatore” emotivo (De Dreu, West, Fischer, MacCurtain, 2001), dove gli stati emozionali dei singoli membri si combinano in modo interdipendente, fino a produrre, attraverso il contagio emotivo, un clima emozionale del gruppo che influenza tutti i membri del gruppo;
  5. Dinamica dell’intera organizzazione: questo livello si può inserire all’interno del costrutto di cultura organizzativa, intesa come l’insieme di norme, valori e assunti di base relativamente stabili. Ogni cultura organizzativa ha un suo fondamento emozionale (Beyer, Niño, 2001); regola le emozioni da esibire e lo spazio riservato all’analisi delle emozioni affettivamente percepite (Trice, Beyer, 1993); fonda i suoi assunti di base associandoli a sentimenti profondamente avvertiti (Schein, 19859; rende possibili determinati processi e stili di convivenza.

I cinque livelli sono fortemente correlati, sia tra i livelli di analisi che tra di essi. Al centro di questa versione del modello c’è La teoria degli eventi affettivi (AET) (Livello 1). Queste relazioni sono a loro volta dirette, influenzate e moderate dalle differenze individuali (Livello 2). Gli eventi affettivi stessi derivano in gran parte da percezioni interpersonali (Livello 3) e percezioni che derivano da differenze individuali (Livello 2) e dal contesto organizzativo (Livello 5). Infine, gli eventi affettivi (al Livello 1) sono anche direttamente influenzati dai processi che avvengono nel team (Livello 4) che a loro volta sono influenzati dalle differenze individuali (Livello 2) e dal contesto organizzativo (Livello 5).

Intelligenza e mentalizzazione dei contesti lavorativi

Nello studio delle emozioni del contesto lavorativo, un particolare rilievo ha acquistato il costrutto di intelligenza emotiva, fortemente connessa al livello 2 (Differenze individuali) della scala di Ashton-James & Ashkanasy (2006). Riprendendo questi autori, l’intelligenza emotiva indica una disposizione individuale che modera la capacità di un individuo di percepire, comprendere e gestire le proprie e le altrui emozioni nei contesti organizzativi.

L’intelligenza emotiva avrebbe infatti un impatto positivo sull’engagement, sulla soddisfazione e sul benessere lavorativo e gli effetti sarebbero tangibili, come nel caso della diminuzione del turnover, problematica che spesso intacca le organizzazioni (Brunetto et al., 2012).

In tale concettualizzazione è dunque importante l’accento posto non solo sull’individuo, ma sull’aspetto di convivenza, che richiama la componente relazionale. È in questo connubio tra la dimensione individuale e collettiva, tra il mondo intrapsichico e quello intersoggettivo, che diviene possibile inserire il concetto di mentalizzazione. Con questo termine si fa riferimento ad una competenza metacognitiva dalla quale dipendono la capacità di comprendere le manifestazioni affettive altrui, la capacità di regolazione affettiva, di controllo degli impulsi e di automonitoraggio.

La mentalizzazione costituisce una capacità che è possibile apprendere, implementare ed allenare. Quando nell’organizzazione viene a mancare la capacità di mentalizzazione, si determina un’impossibilità per il professionista di elaborare le emozioni, di attribuire senso all’esperienza e, probabilmente, la sua rappresentazione mentale del contesto organizzativo avrà come oggetto un luogo, non più di crescita personale, ma di frustrazione, incertezza, minaccia. Sarebbe possibile, infatti, imputare all’incapacità o al difetto di mentalizzazione la moltiplicazione dei fattori di rischio che espongono il lavoratore a patologie come distress, burnout, mobbing (Di Stefano, 2017). Al contrario, se il soggetto è collocato all’interno di un contesto lavorativo che promuove la mentalizzazione, ponendosi come contenitore riflessivo, gli effetti positivi investono il campo della fiducia reciproca tra i membri che lo abitano, dell’empatia e della resilienza collettiva (Kahn, 2001).

Quando le emozioni diventano lo strumento principale del proprio lavoro

Sebbene il binomio emozione-lavoro sia stato un argomento di ricerca in parte trascurato, negli ultimi anni e per categorie professionali particolari quali, call center, impiegati di banca, polizia, assistenti di cabina e  infermieri, il crescente impiego nel settore dei servizi, la sensibilizzazione verso la qualità del servizio offerto e l’attenzione per il benessere dei lavoratori, hanno spinto la letteratura scientifica ad occuparsi degli aspetti di interazione cliente-lavoratore che sono il requisito di molte professioni. Un particolare tipo di relazione cliente-lavoratore è quella che investe lavoratore-paziente, relazione che ha spesso attirato l’attenzione della letteratura scientifica per l’elevato rischio di burnout lavorativo.  A differenza di altre professioni, medici, infermieri, terapisti sono principalmente coinvolti nel lavoro con la persona, relazione che molto spesso implica il supporto dei pazienti, elevati costi interpersonali, o domande emotive.

La domanda emotiva può essere definita come quegli aspetti del lavoro che richiedono uno sforzo emotivo a causa del contatto di interazione con i clienti. Un elemento cruciale del ruolo di questi lavoratori è ad esempio il confronto con molti aspetti della vita umana (malattia, povertà, morte) da cui potrebbero nascere problemi di interazione sociale con i clienti. Un ulteriore aspetto di queste professioni è quello relativo alla gestione delle emozioni, il quale risulta una componente determinante del loro ruolo. Ragionevolmente non si può presumere che i lavoratori che forniscono servizi alla persona, siano sempre di buon umore, piuttosto talvolta essi possono essere annoiati o essere suscitati da emozioni negative come rabbia, paura o delusione. Tuttavia, ad essi è richiesto un lavoro emozionale, come parte del loro ruolo lavorativo, in risposta alle emozioni organizzative desiderate. Ekam (1973, citato in Morris & Feldman, 1996) definisce le norme che indicano l’appropriatezza dell’espressione emotiva, regole di visualizzazione (display rules), per riferirsi agli standard di comportamento che indicano non solo quali emozioni sono appropriate in una data situazione, ma anche le modalità attraverso cui queste emozioni dovrebbero essere espresse.

Conclusioni

In questo articolo abbiamo potuto osservare come le emozioni giocano un ruolo fondamentale nel contesto in cui lavoriamo. I lavoratori provano emozioni che influenzano il contesto organizzativo e la propria prestazione, producendo climi lavorativi che influenzano positivamente o negativamente il lavoro. Come visto in questo articolo, la mentalizzazione diventa una competenza importante e necessaria in quanto previene patologie come distress, burnout, mobbing e aumenta effetti positivi che investono il campo della fiducia reciproca tra i membri che lo abitano, dell’empatia e della resilienza collettiva. Infine, sappiamo che le emozioni investono profondamente ciascuno di noi e che, se gestite in modo poco funzionale, posso essere dannose. Ecco che la gestione delle emozioni diventa una competenza fondamentale in tutte quelle professioni in cui esse sono lo strumento principale del lavoro: psicologi, psicoterapeuti, educatori, assistenti sociali, medici, infermieri, terapisti sono principalmente coinvolti nel lavoro con la persona, relazione che molto spesso implica il supporto dei pazienti, elevati costi interpersonali, o domande emotive. Pertanto, in queste professioni diventa essenziale fare un buon lavoro sulle emozioni al fine di preservare sé stessi e la propria professione.

 

Bibliografia

  • Castello, Il ruolo delle emozioni nei contesti professionali.
  • Prudente (2021), Le emozioni nelle organizzazioni: un possibile sguardo psicodinamico. L’intelligenza emotiva ha un impatto positivo sull’engagement, sulla soddisfazione e sul benessere lavorativo con effetti visibili nelle organizzazioni.
  • M. Ashkanasy, and A. D. Dorris (2017), Emotions in the Workplace, Annual Review Of Organizational Psychology And Organizational Behavior, Volume 4.
  • Avallone (2014), Psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Costruire e gestire relazioni nei contesti professionali e sociali, Carocci Editore.